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Per Aspera Ad Veritatem n.5
Relazione generale sulla situazione economica del Paese (1995)

L'evoluzione dell'economia nel 1995







L'area industrializzata ha conosciuto nel 1995 un rallentamento della crescita.
Negli Stati Uniti il raffreddamento congiunturale si è palesato dall'inizio dell'anno, in conseguenza di pregresse restrizioni monetarie.
In Europa, l'appiattimento dei profili di sviluppo è da ricollegare soprattutto con l'attenuazione delle originarie spinte propulsive, vale a dire il ciclo delle scorte e le esportazioni, in un quadro di persistente debolezza della domanda interna. Vi si sono aggiunte le oscillazioni dei cambi oltre che, in alcuni casi, incertezze politiche e tensioni sociali. La decelerazione, intervenuta nel secondo semestre, ha colpito soprattutto la Germania, la Francia e la Spagna. Il Giappone ha attraversato una fase di quasi ristagno da cui è emerso solo a fine 1995.
La tendenza al miglioramento delle condizioni sul mercato del lavoro è andata attenuandosi negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Nell'Europa continentale, ove i tentativi di introdurre elementi di flessibilità procedono con maggiori attriti, la disoccupazione ha ripreso a crescere nella seconda parte dell'anno. In Giappone l'incidenza sulla popolazione attiva delle persone in cerca di lavoro ha superato precedenti record.
I fenomeni inflazionistici sono rimasti sotto controllo sia per l'esaurirsi dei rincari dei prodotti di base sia, nell'ambito dei singoli paesi, per la contenuta evoluzione dei salari, per gli aumenti di produttività, per l'azione della concorrenza internazionale e, da ultimo, per il rallentamento della crescita.
In campo monetario atteggiamenti di prudenza sono prevalsi negli Stati Uniti, che hanno mantenuto invariato dal febbraio il tasso ufficiale di sconto, favorendo in seguito solo lievi ripiegamenti del costo del denaro a breve. Tendenze meno restrittive si sono profilate sia in Germania che nell'area del marco. Nei casi in cui è stato necessario difendere il cambio, si è proceduto con alternanze - come in Francia - o con ritardi. Per sospingere le attività e alleviare i problemi del settore creditizio, la banca centrale nipponica ha abbassato, in più riprese, il tasso ufficiale di sconto allo 0,5%.
I successi nella lotta all'inflazione agevolano, nei sistemi dai tratti fondamentali più solidi, una flessione dei tassi di interesse a lungo termine.
I cambi sono stati caratterizzati da instabilità e turbolenze: il dollaro ha perduto sino alla primavera rispetto al marco tedesco e allo yen; si è poi consolidato e rafforzato, recuperando in fine d'anno parzialmente sull'uno, totalmente sull'altro. Alla fase ribassista della moneta statunitense sono corrisposte tensioni fra le divise al di qua dell'Atlantico.
Lo scenario delle economie in transizione è andato migliorando sia in Europa centro-orientale e Paesi baltici - ove il PIL ha ripreso a crescere - sia in Russia e altri membri della CSI, ove la contrazione ha assunto tratti meno gravi.



Nell'area in via di sviluppo, l'espansione dell'Asia è sfociata, per ciò che riguarda la Cina, in un soft-landing; si è invece confermata con le precedenti cadenze nel sud-est. La marcata decelerazione dell'America del centro-sud adombra la grave recessione messicana, quella Argentina e per contro lo sviluppo persistentemente elevato della Colombia, del Brasile e del Cile. La situazione del continente africano, sebbene preoccupante, ha mostrato tratti meno sfavorevoli mentre la performance mediorientale è rimasta modesta.


La crescita statunitense è apparsa discontinua e, nel complesso, decelerata. Nella prima parte del 1995, la crisi del Messico e l'appannamento ciclico del Canada, fra i principali mercati di sbocco, hanno depresso la domanda estera; su quella interna ha inciso l'elevato grado di indebitamento delle famiglie e le restrizioni creditizie varate nel 1994 dalla Riserva federale, di cui hanno particolarmente risentito il settore automobilistico e l'edilizia abitativa.
I fattori frenanti esogeni si sono però nel prosieguo attenuati e ha giovato il lieve allentamento monetario intervenuto con la primavera.
In fine d'anno sono di nuovo emerse incertezze, ma i toni sono rimasti nel complesso rassicuranti, grazie alla soddisfacente progressione dei redditi delle famiglie e alla solidità delle condizioni in cui operano le imprese, sospinte anche dall'allargamento dei margini di profitto sulla via degli investimenti.
In Europa, la pesantezza del mercato del lavoro, la modestia delle dinamiche retributive e lo scarso accrescimento delle disponibilità reali delle famiglie hanno compresso la domanda, appesantita altresì dall'impostazione restrittiva delle politiche fiscali. La Germania e l'area del marco hanno subito penalizzazioni aggiuntive dall'apprezzamento esterno delle rispettive monete.
A un andamento per lo più deludente dell'edilizia ha fatto da contrappeso l'accelerata espansione degli investimenti in attrezzature, soprattutto nella Scandinavia e sistemi minori del nord.
Pur con irregolarità, la produzione industriale si è vistosamente allargata nella prima parte del 1995, per mostrare poi diffusi ripiegamenti. Nei consuntivi d'anno, i migliori risultati venivano colti in Scandinavia - Finlandia e Svezia in particolare con un tasso prossimo al 10% - in Austria e Spagna, col 6% circa. Regno Unito e Francia totalizzavano il 2-3%, la Germania l'1 per cento.
In Giappone, eventi accidentali e in particolare il sisma di Kobe, si sono sommati a fattori strutturali - tra cui la «bolla speculativa» ancora in via di riassorbimento - nel provocare effetti recessivi.
Le famiglie risentivano non solo della flessione dei valori immobiliari, ma anche del continuo appesantimento del mercato del lavoro - ove il tasso di disoccupazione ha via via superato precedenti massimi - e della scarsa progressione delle retribuzioni. Il clima di fiducia si è deteriorato ed è nel contempo cresciuta la propensione al risparmio , con un sostanziale ristagno dei consumi privati.
Le aziende sono state penalizzate dall'ascesa dello yen sui mercati internazionali e su quello interno, ove vanno ridimensionandosi le barriere protettive. L'esiguità dei margini di profitto e le difficoltà di bilancio trovavano riscontro nel peggioramento del clima degli affari e nel lento riavvio degli investimenti privati.
Effetti propulsivi provenivano invece dalla componente governativa, attraverso successive misure di rilancio, tra cui, in settembre, provvedimenti di spesa per 14.200 miliardi di yen - pari al 3% del PIL - in gran parte destinati a opere di pubblica utilità.
Le attività di produzione industriale si sono attestate - con oscillazioni - su un livello medio del 3,2% superiore a quello del 1994.
Il quadro non è rimasto privo di incertezze, dato che il miglioramento emerso a fine 1995 è essenzialmente legato agli interventi governativi e, perciò stesso, destinato a esaurirsi; la ripresa degli investimenti circoscritta alle unità di grandi dimensioni; le politiche dei paesi industrializzati, tali da esercitare contraccolpi negativi sulle esportazioni giapponesi.


Sul mercato del lavoro sono prevalse difformità e, nella seconda parte del 1995, un deterioramento, per l'arresto delle favorevoli tendenze che si erano profilate nella fase più accentuatamente espansiva del ciclo.
Distorsioni accumulate nel medio-lungo periodo hanno continuato a penalizzare l'Europa ove, in base a stime del Fondo Monetario Internazionale, la disoccupazione strutturale si è ininterrottamente accresciuta negli ultimi 20 anni, sino a toccare l'8-9% della popolazione attiva.
Il malessere sociale, le perdite di reddito, l'onerosità per le finanze pubbliche e i danni complessivamente da ciò derivati, hanno posto il problema fra le priorità politiche. Si è così teso a rivedere o a ridimensionare il tradizionale sostegno alla disoccupazione, per mettere l'accento su «politiche attive». In questo filone si inserisce la tendenza a rivedere la composizione delle retribuzioni per renderla più flessibile e quindi più aderente alla realtà delle aziende e a formulare programmi che prevedono la riqualificazione delle persone prive di occupazione e incentivi all'assunzione dei giovani.
Nell'Unione Europea, il miglioramento ciclico del mercato del lavoro è sopravvenuto con ritardo e ha assunto dimensioni limitate, cosicché il numero dei disoccupati si è approssimato a fine 1995 ai 18 milioni, pari all'11% della popolazione attiva. Il fenomeno incide soprattutto sulle donne (il 12,6% contro il 9,6% degli uomini) e, con riferimento all'età, sulla fascia al di sotto dei 25 anni (ove si è giunti al 20,8%).
Con l'«Alleanza per il lavoro», siglata in Germania il 23 gennaio 1996 dal governo e dalle parti sociali, si intendono quindi introdurre correttivi, agendo essenzialmente sul versante dell'offerta. L'accordo, articolato in 50 punti ancora da definire nei concreti aspetti applicativi, assume come obiettivo il dimezzamento in 5 anni del numero dei disoccupati, con la riduzione, tra l'altro, degli oneri sociali, il riequilibrio dei fondi pensionistici, l'accrescimento della flessibilità salariale - riferita tanto agli aspetti retributivi che all'orario di lavoro - la diffusione dell'apprendistato, incentivi alla creazione di nuove imprese e facilitazioni per l'accesso al capitale di rischio.
Nel più flessibile sistema statunitense si sono colti i benefici della semionda ciclica ascendente della metà del 1992 sino alla fine del 1994, periodo in cui la disoccupazione si è ridimensionata dal 7,7% al 5,4% della popolazione attiva. All'appannamento congiunturale intervenuto con il 1995, è corrisposta una sostanziale stabilità intorno al 5,6 per cento.
Il Giappone, ove peraltro il fenomeno riveste dimensioni meno preoccupanti, ha accusato difficoltà, dato che l'incidenza delle persone in cerca di lavoro ha raggiunto a fine 1995 il massimo del 3,4 per cento.





Dopo una breve fase di recrudescenza durante la prima parte del 1995, i fenomeni inflazionistici nell'area industrializzata riprendevano generalmente ad attenuarsi, grazie ai fattori di calmieramento di origine interna e internazionale.
Al di là della variabilità stagionale, i corsi petroliferi si stabilizzavano infatti sui 17 dollari per barile, con riferimento al Brent, valore prevalente nel medio periodo.
I rincari degli altri prodotti di base, in atto per tutto il 1994, si sono esauriti, come dimostra il ripiegamento dell'indice calcolato dall'HWWA in dollari.
Tra gli alimentari, soltanto le quotazioni dei cereali segnavano consistenti incrementi, legati ai cattivi raccolti statunitensi, al deludente andamento dell'offerta e alla riduzione delle scorte mondiali.
Sono invece ristagnati o ribassati quelli dei coloniali - come il cacao o il caffè - per lo scadere tra l'altro di precedenti accordi di cartello.
Le quotazioni delle materie prime industriali - sia di origine agricola che le altre - ancora in ascesa nel primo semestre, subivano poi flessioni.
Nell'ambito dei singoli paesi ha giocato la moderazione delle dinamiche salariali - nonostante qualche rialzo negli Stati Uniti, Canada e Germania - il rigore delle politiche monetarie e lo scadimento dei toni congiunturali.
I prezzi alla produzione e all'ingrosso si sono mossi lungo una linea di moderata crescita nella prima parte dell'anno, per poi stabilizzarsi o addirittura ripiegare.
La traslazione dell'inflazione importata - via i precedenti rincari delle materie di base o, in alcuni casi, le perdite in cambio - ha trovato ostacoli nella debolezza della domanda delle famiglie.
Negli Stati Uniti, in parte della Scandinavia, in Francia e Spagna si sono quindi confermati, nelle medie annue, i modesti aumenti al consumo registrati nel 1994; in Germania e nell'area del marco, oltre che nel Regno Unito, si sono avuti ridimensionamenti.
Il Giappone ha visto cedere le quotazioni ingrosso e via via rallentare la già moderata dinamica di quelli al dettaglio che, per la prima volta dall'inizio della rilevazione (1971), accusavano un decremento annuo cifratosi nello 0,1 per cento.


Il commercio mondiale ha risentito dell'appannamento congiunturale intervenuto nei paesi OCSE. Stando ai flussi in volume delle merci in entrata e uscita, l'interscambio, che nel 1994 si era allargato con un tasso prossimo al 10%, è aumentato nel 1995 di circa l'8 per cento.
Alla decelerazione tanto delle esportazioni che delle importazioni dell'area industrializzata, hanno fatto riscontro risultati persistentemente favorevoli per quella in via di sviluppo, ove le une sono rimaste pressoché stazionarie e le altre si sono sensibilmente allargate.
Causa verosimilmente la più sommessa evoluzione delle attività, il tasso di incremento degli acquisti dall'estero è sceso, negli Stati Uniti, dal 15% nel 1994, al 12% nel 1995; il dinamismo delle esportazioni, allargatesi di circa il 14%, sembra ascrivibile ai guadagni di competitività derivanti anche dalle flessioni del dollaro.
Nell'Unione Europea, le importazioni hanno risentito dell'indebolimento della domanda e delle attività produttive; le esportazioni sono state limitate tanto dalla contrazione dei mercati di sbocco che dall'andamento dei cambi. La progressione delle vendite all'estero si è infatti sostanzialmente dimezzata sia in Germania - per l'ascesa del marco - sia nel Regno Unito, Svezia e Spagna, che hanno ormai assorbito i benefici delle massicce svalutazioni del 1992-93.
In Giappone, alla debolezza della produzione interna ha fatto da contrappeso la maggiore penetrazione delle merci straniere, dovuta sia al processo di liberalizzazione sia alla sopravvalutazione dello yen.
Nell'area in via di sviluppo, si sono confermate le soddisfacenti performance dei paesi est-asiatici e latino-americani.
Nel complesso, le importazioni non-OCSE hanno segnato un aumento del 10% circa, che sintetizza un incremento del 3% per l'OPEC, dell'11% per gli altri paesi in via di sviluppo e dell'8% per quelli ex-Comecon.


I cambi sono stati caratterizzati da accentuate oscillazioni.
In apertura d'anno il dollaro subiva una brusca caduta rispetto al marco tedesco e allo yen, ricollegabile con il persistente squilibrio dei conti con l'estero, con i timori di un ritorno di inflazione, ma soprattutto con le vicende del Messico, debitore e partner commerciale. Con il circoscriversi della crisi e con il rallentamento statunitense, che allontanava i rischi inflazionistici, si è tuttavia aperta una parentesi di assestamento, sfociata dall'estate in un movimento ascendente. A questo contribuiva, insieme alla composizione dei contrasti commerciali tra Stati Uniti e Giappone, l'impegno del governo nipponico nella liberalizzazione dei movimenti delle merci e dei capitali, percepita dagli operatori come efficace antidoto allo squilibrio esterno.
In media d'anno, la divisa statunitense ha comunque perso l'8% sullo yen e il 12% sul marco tedesco.
Le vicende del dollaro hanno interagito con quelle delle monete europee, indebolitesi, nella prima parte del 1995, rispetto al marco tedesco. Le perdite interessavano la peseta, la corona svedese, la sterlina britannica e, in minor grado, il franco francese, per la scadenza elettorale di maggio.
Il consolidamento della divisa statunitense oltre che l'impegno di molti governi nel risanamento delle finanze pubbliche avviavano, dalla primavera-estate, una fase di consistenti recuperi. Nonostante alternanze, legate in autunno ai toni pessimistici assunti dal dibattito sul trattato di Maastricht, si giungeva in dicembre al parziale annullamento dei precedenti regressi o addirittura a guadagni per la corona svedese.




Nel corso del 1995 è proseguita la fase di espansione dell'economia italiana. Essa ha trovato riscontro in un aumento di prodotto interno lordo pari al 3%, circa un punto in più rispetto all'anno precedente. Tra i maggiori paesi industriali, il tasso di sviluppo conseguito dall'Italia è risultato uno dei più elevati.
Prevalentemente concentrata nel settore industriale, la crescita economica ha continuato a essere sostenuta dalla positiva dinamica delle esportazioni. L'ampliamento dei margini unitari di profitto, e la conseguente aumentata capacità di autofinanziamento delle imprese, hanno favorito il riavvio di un robusto ciclo di investimenti in beni capitali. Il permanere di una moderata dinamica dei redditi da lavoro dipendente e una disoccupazione ancora elevata hanno contenuto il contributo alla crescita fornito dai consumi. La moderazione salariale ha frenato il propagarsi delle spinte inflazionistiche generate, nella prima parte del 1995, dai rialzi dei prezzi delle materie prime e dal deprezzamento della lira. Si è consolidato infine il riequilibrio dei conti pubblici e, dopo molti anni, si è arrestata la crescita del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno.
I nuovi guadagni di competitività indotti dal deprezzamento della lira (pari al 9,9% nella media del 1995, in termini di tasso di cambio effettivo nominale) hanno sostenuto i positivi sviluppi del commercio con l'estero. L'attivo mercantile della bilancia dei pagamenti è passato da 55.197 miliardi del 1994 a 71.687 miliardi. Tale surplus ha sottinteso un'evoluzione favorevole della bilancia reale a fronte di un peggioramento delle ragioni di scambio. Il tasso di crescita delle quantità esportate è risultato superiore al contestuale allargamento della domanda mondiale. Ne è derivato un aumento delle quote di mercato dell'Italia più consistente in confronto ai guadagni realizzati, a prezzi costanti, nel precedente biennio. Un'espansione del pari sostenuta è stata registrata dalle quantità importate. In particolare, tendenze accelerative sono state manifestate dagli approvvigionamenti esteri di beni capitali e di semilavorati in risposta alla vigorosa dinamica degli investimenti. Il parziale utilizzo, da parte degli operatori nazionali, dei margini offerti dalla variazione nominale del cambio ha trovato riscontro in un incremento dei valori medi unitari delle esportazioni inferiore a quello delle importazioni, che hanno peraltro riflesso gli impulsi negativi generati dai prezzi internazionali delle materie prime e dai movimenti del cambio. L'aumentato avanzo della bilancia commerciale e la riduzione del deficit delle partite invisibili, dovuto alla crescita degli introiti netti della voce «viaggi all'estero » e ai minori esborsi netti per trasferimenti unilaterali, hanno favorito l'emergere di un attivo delle transazioni correnti della bilancia dei pagamenti pari a 44.549 miliardi, circa 19.000 miliardi in più rispetto a un anno prima.
Con riguardo all'evoluzione della domanda interna, a fronte di un aumento consistente degli investimenti, la crescita dei consumi privati è rimasta contenuta. Assecondata dalla protratta espansione della domanda estera, dalla disponibilità di ampi margini di autofinanziamento e dall'accostarsi della produzione ai livelli massimi compatibili con la capacità esistente, l'attività di investimento è risultata in forte crescita: +5,9% nella media del 1995.
La dinamica decisamente sostenuta degli investimenti fissi è stata peraltro la sintesi di andamenti differenziati nei due principali comparti. La spesa in macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto, alimentata anche dall'anticipazione dei programmi di investimento in beni strumentali indotta dalla detassazione degli utili reinvestiti, ha mostrato una spiccata vivacità portandosi su un livello superiore dell'11,5% a quello del 1994. Gli investimenti in costruzioni, nonostante il recupero manifestato nella seconda parte dell'anno, hanno invece continuato a riflettere lo scarso sostegno fornito dal settore delle opere pubbliche e dalla domanda abitativa, denunciando in media d'anno una sostanziale stabilità (+0,5%). Frenati dalla stazionarietà in termini reali del reddito disponibile delle famiglie, i consumi privati sono cresciuti dell'1,7%. In particolare, ad una dinamica relativamente accentuata della spesa per i non alimentari e servizi (+2,1%) si è accompagnato un cedimento di quella per i beni di consumo alimentare (-0,4%).
L'effetto congiunto del rialzo delle quotazioni delle materie prime, del deprezzamento della lira e dello sviluppo della domanda hanno costituito le condizioni di base dell'aumento dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali: +7,9% nella media del 1995. Le spinte lievitative, particolarmente forti nei primi mesi dell'anno, si sono attenuate nella seconda parte del 1995 grazie al rallentamento dei prezzi dei prodotti base e al parziale recupero del cambio. Misurato dall'indice del costo della vita, l'incremento dell'inflazione al consumo è stato pari nella media del 1995 al 5,4%. Al netto delle variazioni delle imposte indirette, la crescita è stata del 4,6 per cento. La dinamica del costo della vita, dopo aver registrato una tendenza accelerativa sino a giugno, ha segnato un significativo rallentamento nel corso dell'estate e si è stabilizzata su ritmi ancora elevati negli ultimi mesi del 1995. Basato su un paniere più ampio di beni e servizi, l'indice generale dei prezzi al consumo ha peraltro presentato in media d'anno un aumento più contenuto e pari al 5,2%.
Un rilevante contributo al contenimento d'inflazione è stato fornito dalla persistente moderata evoluzione del costo del lavoro. L'accordo sulla politica dei redditi ha continuato a costituire il riferimento per i rinnovi contrattuali siglati nel corso del 1995. Le retribuzioni lorde per dipendente sono aumentate del 4% nell'industria e del 5,1% nei servizi vendibili. Risentendo della diminuzione degli sgravi e della fiscalizzazione degli oneri sociali, la dinamica del costo del lavoro unitario è risultata più elevata in confronto a quella salariale. La contenuta crescita retributiva e il contestuale forte sviluppo della produttività hanno inoltre supportato un'evoluzione moderata del costo del lavoro per unità di prodotto.
A due anni dall'inversione del ciclo economico, la ripresa non ha ancora dato luogo a benefici apprezzabili sull'occupazione. Le unità di lavoro hanno registrato nel complesso una nuova contrazione dello 0,4%. Tale risultato segna comunque un notevole rallentamento nel processo di riduzione della base occupazionale del biennio 1993-94. L'evoluzione negativa ha peraltro interessato il solo lavoro dipendente. Nonostante il riassorbimento della manodopera in Cassa integrazione guadagni le unità di lavoro dipendente nella trasformazione industriale sono ulteriormente diminuite (-1,4). La disoccupazione è rimasta elevata soprattutto per quanto attiene la componente femminile e le regioni meridionali. A livello globale, il tasso di disoccupazione è passato dall'11,3% del 1994 al 12 per cento.
L'azione di risanamento dei conti pubblici è risultata particolarmente incisiva. Ai consistenti effetti delle manovre correttive realizzate in corso d'anno si è associato l'impulso positivo fornito dal rafforzamento dell'attività economica. Il dispiegarsi di tali fattori ha permesso il raggiungimento degli obiettivi di contenimento del fabbisogno e di stabilizzazione del debito, inizialmente stabiliti dal Documento di programmazione economico-finanziaria e successivamente confermati dalla Relazione previsionale e programmatica. Il fabbisogno del settore statale si è ridotto di oltre 25.000 miliardi rispetto al 1994 e di 2,1 punti percentuali in rapporto al PIL (dal 9,5% al 7,4%). Il miglioramento ha riflesso la notevole espansione dell'avanzo primario aumentato da 17.257 a 63.567 (dall'1,1 al 3,6 per cento del PIL) che ha più che compensato la crescita della spesa per interessi. La dinamica favorevole dei conti pubblici ha consentito, per la prima volta dal 1980, una contrazione del rapporto tra debito delle Amministrazioni Pubbliche - nella definizione prevista dal Trattato di Maastricht - e PIL: dal 125,6% del 1994 al 124,8 per cento.


A distanza di due anni dall'avvio della fase di sviluppo dell'attività economica, la caduta dell'occupazione si è considerevolmente ridimensionata. Il lento recupero della domanda di lavoro non è stato tuttavia sufficiente a produrre un restringimento della disoccupazione.
La quantità di lavoro impiegata dal sistema produttivo si è ridotta di 97 mila unità standard (-0,4% in confronto al 1994). Un'evoluzione più favorevole ha caratterizzato la componente di lavoro autonomo (+29 mila unità, pari allo 0,4%); per contro, il lavoro dipendente ha evidenziato un nuovo regresso (-127 mila unità, pari -0,8%). L'emergere di una decelerazione nella tendenza riduttiva dell'occupazione globale ha d'altro canto riassunto evoluzioni settoriali differenziate.
Il più confortante andamento della domanda di lavoro non ha tuttavia stimolato il restringimento della disoccupazione. Le persone in cerca di lavoro sono aumentate di circa 160 mila unità, risultando pari a 2.724 mila nella media del 1995. Il tasso di disoccupazione è salito dall'11,3% del 1994 al 12 per cento. La spinta all'allargamento della disoccupazione è stata impressa dal rientro sul mercato di molti individui che nella fase discendente del ciclo avevano abbandonato l'attività di ricerca del lavoro. Il gruppo dei disoccupati in cerca di primo impiego e quello in condizione non professionale ha infatti manifestato la crescita più elevata (+100 mila e +42 mila unità rispettivamente in confronto al 1994); il gruppo di coloro che avevano perso la precedente occupazione ha invece mostrato un aumento limitato (+18 mila unità) . A livello territoriale, la crescita della disoccupazione ha nuovamente interessato le regioni del Sud e delle Isole. In quest'area il tasso di disoccupazione ha raggiunto nel 1995 il 21% a fronte del 7,8% registrato nel Centro-Nord.
La politica di moderazione salariale è proseguita nel 1995. Anche gli accordi siglati in questo periodo hanno stabilito miglioramenti economici parametrati ai valori dell'inflazione programmata. I nuovi contratti nazionali hanno riguardato principalmente l'industria e sono stati sottoscritti in assenza di conflittualità tra le parti sociali. L'adeguamento delle misure tabellari ha assunto particolare rilievo nelle intese per il rinnovo biennale della parte economica.
Si trattava infatti di stabilire l'entità del recupero motivato dalla differenza tra dinamica effettiva e programmata dei prezzi del precedente biennio di validità contrattuale. Il rischio che potessero prevalere spinte salariali non conformi all'obiettivo di contenimento dell'inflazione è risultato di fatto ridimensionato. Tutto ciò si è tradotto in una crescita dell'indice generale delle retribuzioni contrattuali per dipendente del 3,3% nella media del 1995. Tale indicatore, che non comprende i compensi a titolo di arretrati o «una tantum», ha in particolare registrato aumenti pari al 3,8% nell'industria in senso stretto e al 5% nei servizi di mercato. In questo caso, la più accentuata dinamica dell'indice ha riflesso la cadenzatura dei miglioramenti economici che, per diversi accordi nazionali dei servizi vendibili siglati negli ultimi mesi del 1994, ha avuto inizio nel 1995.
Le retribuzioni di fatto sono risultate in modesta accelerazione. Per l'insieme dell'economia, le retribuzioni lorde pro capite hanno denunciato per il 1995 un aumento pari al 4,3% (3,2% nel 1994). In particolare la crescita è stata relativamente più sostenuta nei servizi destinabili alla vendita rispetto all'industria in senso stretto (nell'ordine 5,1% e 4,5%).
La contenuta evoluzione salariale e la prosecuzione di un sostenuto ritmo di crescita della produttività hanno consentito di mantenere nel complesso moderata la dinamica del costo del lavoro per unità di prodotto: +1,8% in confronto al 1994. Tale risultato è peraltro sintesi di una tenue lievitazione nell'industria in senso stretto (+0,2%) e di un significativo incremento nei servizi vendibili (+4,1%).


Le risorse globali a disposizione del Paese - date dal prodotto interno lordo ai prezzi di mercato e dalle importazioni di beni e servizi - sono ammontate a 2.164.356 miliardi di lire correnti, pari ad un incremento monetario del 10,5% rispetto al 1994 e ad un tasso di sviluppo del 4,1% in termini reali. Con riguardo al loro utilizzo, nel 1995 una quota del 20,5% (18,5% nel 1994) è stata assorbita dalle esportazioni di beni e servizi e la restante parte, che si è commisurata a 1.720.752 miliardi di lire correnti, è stata destinata agli impieghi interni che hanno segnato un aumento del 2,3% nei valori a prezzi costanti, a fronte dell'incremento dell'1,6% rilevato nel 1994.
L'evoluzione della domanda interna è stata sostenuta in modo particolare dagli investimenti produttivi in macchinari e attrezzature, mentre quelli in costruzioni si sono confermati pressoché stagnanti e i consumi hanno avuto dinamiche nel complesso contenute. La ripresa dei consumi delle famiglie è stata condizionata dal modesto aumento dei redditi da lavoro dipendente e dalla flessione dell'occupazione, nonché dagli effetti del processo di risanamento dei conti dello Stato. Sul tono sostanzialmente debole della domanda delle famiglie, in una fase avanzata di robusta espansione della produzione, avrebbe peraltro anche influito il peggioramento del clima di fiducia, che ha consigliato di rinviare a tempi migliori talune decisioni di spesa o quanto meno di limitare gli acquisti più importanti.
Nel consuntivo del 1995 la spesa sostenuta dalle famiglie per l'acquisto di beni e servizi si è ragguagliata a 1.107.596 miliardi di lire, corrispondenti ad un aumento dell'1,7% nelle quantità e ad una crescita del deflatore del 5,7% nel confronto con il 1994. La ripartizione dei consumi privati per tipologie di beni e servizi ha evidenziato una lieve flessione della spesa alimentare (-0,4% in termini reali) e un incremento del 2,1% nei non alimentari, al cui interno sono risultati apprezzabili i consuntivi di spesa delle seguenti categorie: vestiario e calzature (+3%), mobili e articoli di arredamento (+2,1%), trasporti e comunicazioni (+3,3%), alberghi e pubblici esercizi (+3,4% rispetto all'anno precedente).
I consumi collettivi, ammontati a 292.616 miliardi di lire, si sono ridotti in termini reali dello 0,5%, a riflesso delle difficoltà in cui versano i bilanci delle Amministrazioni pubbliche e del connesso blocco delle assunzioni nel pubblico impiego.
Mentre i consumi nel loro insieme sono risultati incagliati in una fase di crescita solo moderatamente evolutiva, gli investimenti in macchinari e attrezzature hanno avuto un vigoroso sviluppo assecondato dal processo di accelerata ristrutturazione dei settori manifatturieri più orientati ai mercati d'oltrefrontiera.
La spesa per immobilizzi di macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto è ammontata a 152.295 miliardi di lire segnando un incremento quantitativo dell'11,5% (nel 1994 la crescita era stata del 7,5%). Nel suo ambito, sono stati rilevati consistenti sviluppi sia per le macchine, attrezzature e prodotti vari (+12,7% in termini reali contro il +9,1% dell'anno precedente) sia per i mezzi di trasporto (+6,3% a fronte del modesto aumento dell'1% nel 1994).
Al netto rafforzamento dell'attività di accumulazione in macchinari in genere si è contrapposta l'eccezionale lentezza della ripresa degli investimenti in costruzioni, che hanno scontato il mancato recupero della domanda abitativa e di quella per infrastrutture e opere pubbliche.


In un quadro congiunturale di robusta crescita dell'attività economica l'andamento dei conti pubblici ha registrato notevoli miglioramenti nel 1995.
Il fabbisogno del Settore Statale, al netto delle regolazioni di debiti pregressi, è risultato pari a 130.249 miliardi centrando l'obiettivo (di 130.000 miliardi) posto nel Documento di programmazione economico-finanziaria del giugno 1995 e confermato nella Relazione previsionale e programmatica del settembre successivo. La contrazione di oltre 25.000 miliardi rispetto all'anno precedente (in cui il fabbisogno era stato di 155.612 miliardi) ha consentito una riduzione dell'incidenza sul prodotto interno che è passata dal 9,5% al 7,3%. L'avanzo primario, in presenza di una forte espansione della spesa per interessi, ha raggiunto i 63.567 miliardi, a fronte dei 17.257 del 1994, ed è salito dall'1,1% al 3,6% del PIL.
Queste favorevoli dinamiche sono derivate, oltre che da una accelerazione dello sviluppo della fase di crescita economica, da consistenti interventi di correzione degli squilibri pubblici (risultati pari ad oltre il 3% del PIL) che hanno rafforzato il processo di risanamento, dopo il rallentamento del 1994.
L'obiettivo relativo al fabbisogno del Settore Statale per il 1995 era stato inizialmente fissato a 138.600 miliardi sia nel Documento di programmazione economico-finanziaria che nella Relazione previsionale e programmatica presentati nel 1994. Per il raggiungimento del saldo programmato a fine 1994, veniva predisposta una manovra correttiva valutata ufficialmente in 48.000 miliardi. Gli interventi, suddivisi sostanzialmente in parti uguali tra maggiori entrate e risparmi di spesa, da una parte, hanno riguardato un recupero di evasione ed elusione fiscale senza aumenti delle aliquote tributarie e, dall'altra, hanno permesso un contenimento della spesa soprattutto nei settori della previdenza e della sanità.
Tuttavia, l'aumento dei tassi di interesse verificatosi nella seconda metà del 1994 e protrattosi nei primi mesi del 1995 rendeva necessaria una manovra aggiuntiva. L'azione correttiva, predisposta a fine febbraio, prevedeva una riduzione del deficit pubblico di 21.000 miliardi, di cui oltre 15.000 dovuti a maggiori entrate e 5.000 a minori spese. Queste ultime hanno riguardato sostanzialmente tutte le diverse categorie di uscita; i maggiori incassi sono derivati, in larga misura, da un inasprimento dell'imposizione indiretta e da un anticipo della imposta sul patrimonio netto delle imprese.
Ai primi di aprile, il fabbisogno programmato veniva ridotto a 134.000 miliardi nella Relazione trimestrale di cassa, a seguito dell'analisi dei dati di consuntivo del 1994, che indicavano una dinamica contenuta della spesa pubblica, e di aggiornamento del quadro congiunturale, con la previsione di una più intensa crescita dell'attività economica, stimata al 3% invece del precedente +2,7%. Scontando un rialzo del tasso di inflazione e l'emergere di nuovi elementi favorevoli (tra cui i maggiori dividendi previsti sugli utili dell'ENI e dell'ENEL), veniva operata una successiva e definitiva revisione verso il basso dell'obiettivo posto, come già ricordato, in 130.000 miliardi del documento di programmazione economico-finanziaria per il 1996-98.
L'indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche, che registra i risultati di gestione degli enti pubblici centrali e subcentrali, si è attestato a 125.505 miliardi a fronte dei 147.980 del 1994. Si è dunque verificata una notevole riduzione, dal 9% al 7,1,%, dell'incidenza sul PIL.
Il rapporto tra debito delle Amministrazioni Pubbliche, - nella accezione valida per la verifica dei parametri previsti dal Trattato di Maastricht - e prodotto è diminuito dal 125,6 al 124,8 per cento.


Nel 1995 la politica monetaria ha accentuato l'orientamento restrittivo, mirante a moderare le aspettative d'inflazione e a invertire la tendenza all'accelerazione dei prezzi al consumo. La Banca d'Italia ha aumentato i tassi ufficiali in febbraio e alla fine di maggio: il tasso di sconto è salito complessivamente dal 7,5 al 9%; quello sulle anticipazioni a scadenza fissa dall'8,5 al 10,5%. Il cambio della lira e i corsi dei titoli di Stato, dopo aver subito un marcato indebolimento nel primo quadrimestre dell'anno, hanno recuperato nei mesi successivi. A fine anno, i rendimenti sui titoli di Stato a lungo termine erano tornati su livelli inferiori a quelli della fine del 1994. Il recupero è continuato nella prima parte del 1996.
Nel corso del 1995 la politica di emissione di titoli di Stato ha tenuto conto della duplice finalità di allungare la vita media del debito e di contenere il costo dell'indebitamento, a fronte di un elevato livello dei rendimenti a lungo termine. Le emissioni nette di BOT sono state lievemente negative; l'elevato ammontare di CCT in scadenza (149.000 miliardi) è stato rinnovato soltanto in parte con titoli della stessa specie, mentre ampie sono state le emissioni nette di btp (95.900 miliardi). Nel febbraio 1995 sono stati emessi per la prima volta titoli biennali a sconto (CTZ), le cui emissioni sono proseguite su base regolare; nel corso dell'anno ne sono stati collocati 38.300 miliardi. La vita media dei titoli del settore pubblico è lievemente aumentata, a quasi tre anni.


Nel 1995 è proseguita la fase di miglioramento dei conti con l'estero avviata nel 1993. Nel consuntivo annuo le partite correnti della bilancia dei pagamenti hanno registrato un avanzo di 44.549 miliardi di lire, superiore di 18.980 miliardi a quello del 1994 e pari al 2,5% del prodotto interno lordo. Il miglioramento è in larga parte disceso dall'ampliarsi dell'attivo mercantile, passato nella valutazione fob-fob da 57.197 a 71.687 miliardi.
La crescita del surplus mercantile ha riflesso la favorevole evoluzione delle quantità scambiate che ha più che compensato la concomitante perdita accusata dalle regioni di scambio. I guadagni di competitività conseguiti negli ultimi anni dalle merci italiane hanno trovato riscontro nell'eccezionale crescita registrata dalle esportazioni in volume. In particolare, il tasso di espansione delle vendite all'estero ha toccato nel consuntivo dei primi undici mesi del 1995 e nel raffronto con il corrispondente periodo del 1994 il 15%. Tale risultato si confronta con un allargamento del commercio internazionale che dovrebbe aver di poco superato nell'intero 1995 - secondo prime stime del FMI - l'8%. Ne è pertanto derivato un guadagno di quote di mercato consistente e più rilevante rispetto a quelli conseguiti (a prezzi costanti) nel precedente biennio. Il profilo di crescita delle esportazioni è risultato tuttavia calante in corso d'anno. Il rallentamento accusato dalle vendite all'estero nel secondo semestre ha essenzialmente riflesso la perdita di tono congiunturale accusata dalle maggiori economie europee.





7. I prezzi
Nel 1995 si è interrotta la discesa del tasso d'inflazione che aveva caratterizzato i quattro anni precedenti. Il sistema dei prezzi è infatti risultato sottoposto a forti tensioni inflazionistiche che hanno teso a rientrare nella seconda parte dell'anno. Nella media del 1995 l'indice generale dei prezzi al consumo ha così segnato una crescita del 5,2% a fronte del 4% con cui si era chiuso il 1994. Leggermente più contenuto, e anche esso in risalita rispetto all'anno precedente, è risultato al contempo l'aumento del deflattore del prodotto interno lordo, pari al 5% (3,5% nel 1994).
L'andamento mediamente più moderato segnato dalla dinamica dei prezzi nell'area europea ha indotto un nuovo allargamento del divario inflazionistico rispetto ai principali paesi partners. Nella media del 1995 la differenza tra il tasso d'inflazione in Italia e quello in Germania e Francia è risultata pari a 3,4 punti percentuali (rispettivamente 1,3 e 2,3 punti nel 1994) mentre anche nei confronti del Regno Unito, che ha sperimentato una risalita nel tasso di crescita dei prezzi, il differenziale d'inflazione ha subito un relativo ampliamento (1,8 dopo il punto e mezzo del 1994). La distanza rispetto ai tre paesi dell'Unione europea con la dinamica dei prezzi più contenuta è ulteriormente cresciuta superando i 3 punti e mezzo.
Nel corso dell'anno l'andamento dei prezzi ha comunque sperimentato due fasi differenti: la prima parte del 1995 si è infatti caratterizzata per la presenza di forti spinte inflazionistiche diffuse in tutti gli stadi di formazione dei prezzi; a partire dall'estate ha viceversa avuto luogo una graduale attenuazione del ritmo di crescita dei prezzi, particolarmente evidente a livello della produzione.
L'accelerazione dell'inflazione nei primi mesi del 1995 ha trovato principale alimento nei rialzi registrati dalle quotazioni internazionali delle materie prime cui si è aggiunta l'ulteriore e consistente svalutazione della lira mentre la manovra sulle imposte indirette di inizio anno ha impresso ulteriori sollecitazioni inflazionistiche a livello della distribuzione finale. La dinamica particolarmente moderata del costo del lavoro ha comunque arginato il propagarsi delle spinte inflattive. Il recupero del cambio della lira nei mesi estivi e l'inversione di tendenza rilevata nell'andamento delle quotazioni internazionali delle materie prime hanno nel seguito consentito dinamiche dei prezzi più contenute.





(*) Documento presentato dai Ministri del Bilancio e del Tesoro il 4 aprile 1996. Stralci a cura della Redazione dal I Capitolo, L'evoluzione dell'economia nel 1995.

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